L’anatomia umana si sarebbe sviluppata più di 2 milioni di anni fa sotto la pressione e lo stimolo indotto da un’attività di corsa, poiché attività necessaria ai nostri antenati nel competere con gli altri predatori per l’approvvigionamento di cibo nell’ambiente della savana.
Proprio la corsa, in particolare la corsa su lunghe distanze, avrebbe stimolato la differenziazione dello scheletro e dei complessi muscolari umani a partire dalle Australopitecine. Questo il risultato, pubblicato il 18 Novembre 2004 sulla rivista Nature, dei decennali studi del Biologo Dennis Bramble dell’Università dello Utah e l’antropologo dell’Università di Harvard Daniel Lieberman.
I fossili relativi ai più antichi ominidi sono databili tra 6-3 milioni di anni, un periodo che va dal Tardo Miocene al Pliocene Medio, comunemente denominate Australopitecine arcaiche, questi fossili rappresentano gli antenati più vicini alle Antropomorfe che possediamo, forme ancora decisamente arcaiche, ma che già possiedono caratteristiche derivate, prima fra tutte la locomozione bipede abituale.
I dati non sono certi a riguardo, essendo i complessi fossili ancora scarsi e frammentari, ma informazioni a livello dell’omero, della tibia, del femore e a livello craniale indicherebbero che già questi arcaici ominidi si muovessero con deambulazione bi-podalica.
Un gruppo di resti trovato sulle colline Tugen, in Kenya, relativo a porzioni di mandibole con denti sparsi e frammenti degli arti inferiori, rivelerebbe che già l’Orrorin tugenensis (tale è il nome di questo primo potenziale ominide) fosse bipede, pur mantenendo un notevole adattamento all’arrampicata arborea.
Questi caratteri fondamentali sarebbero confermati anche negli ominidi successivi, dai resti craniali relativi all’Ardipithecus ramidus, che mettono in luce la posizione del foramen magnum più avanzata rispetto alle Antropomorfe, così come ne l’Australopithecus anamensis, il più antico rappresentante della specie Australopithecus, dove caratteristiche a livello della tibia attesterebbero il bipedismo.
Questo carattere non si sarebbe perso nei generi e nelle specie successive ma si sarebbe bensì affermato come un carattere vantaggioso e quindi favorito dalla selezione naturale, sino a rappresentare una caratteristica distintiva del genere Homo.
Gli Studi di Dennis Bramble e Daniel Lieberman suggeriscono tuttavia che l’acquisizione della locomozione bipede di per sé non rappresenti per l’uomo un deciso stacco evolutivo, un carattere discriminante e stimolante cui ricondurre completamente l’evoluzione anatomica di Homo habilis, e ancor più di Homo ergaster.
Le Australopitecine hanno camminato in posizione eretta per almeno 2,5 milioni di anni, pur presentando ancora caratteristiche fisiche ben lontane dall’uomo moderno: come può quindi il bipedismo aver improvvisamente stimolato l’evoluzione del corpo verso l’anatomia moderna? Questa la provocatoria e stimolante domanda posta dai due studiosi americani.
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