Fondamentalmente per praticare un’attività di corsa costante, il corpo deve essere capace di assorbire l’impatto con il terreno, assorbire quindi i colpi attraverso sistemi di dissipazione e distribuzione dell’energia, deve essere stabile e in grado di mantenersi in equilibrio, deve presentare una muscolatura sufficientemente potente da poter prolungare il movimento nel tempo e deve contemporaneamente essere capace di mantenere la temperatura corporea costante per evitare il surriscaldamento.

Equilibrio e stabilità

Ai fini dell’equilibrio il nostro corpo innanzitutto presenta una struttura craniale articolata sopra la colonna vertebrale, col baricentro situato in posizione centrale.

Questo permette di mantenere la testa in posizione orizzontale con un minor dispendio di energie.

Contemporaneamente la porzione facciale si presenta più piatta rispetto alle Australopitecine, con minor prognatismo, denti più piccoli e un apparato masticatorio di minor peso e potenza. La parte anteriore del cranio è controbilanciata dalla porzione occipitale, distribuendo così equamente il carico.

La corretta distribuzione del peso è un carattere fondamentale soprattutto in attività di intenso sforzo fisico quali la corsa. In aggiunta, il canale semicircolare posteriore è, in Homo, decisamente più largo che in Pan o Australopithecus, testimoniando probabilmente una maggiore sensibilità alle scosse e ai sobbalzi che subisce la testa, che sono potenzialmente maggiori e più intensi nella corsa che nella camminata.

Il torace umano presenta una struttura indipendente dalla testa e le spalle hanno una posizione abbassata rispetto ad Australopithecus e Pan: sono più larghe e l’unico muscolo che le collega alla testa è il trapezio.

Se infatti una struttura più compatta, con spalle in posizione elevata e robuste connessioni muscolari tra torace, collo e testa, è funzionale all’arrampicata arborea, tale struttura non offre vantaggi nella locomozione bipede, ma impedisce la rotazione del torace e degli arti superiori indipendentemente dalla testa, movimento invece necessario nel controbilanciare l’azione degli arti inferiori.

La riduzione delle dimensioni degli avambracci è fondamentale per ottimizzare la corsa (anche oggi, individui con arti inferiori notevolmente più lunghi degli arti superiori, risultano avvantaggiati in tale attività), riducendo la potenza muscolare necessaria a flettere gli arti nel bilanciamento.

Il loro movimento deve richiedere uno sforzo muscolare minimo, e allo stesso tempo compensare il movimento delle gambe con un corretto andamento dei gomiti, che mai devono restare fermi, per esempio in posizione arretrata, nel qual caso ci sarebbe necessariamente la torsione del busto.

Il tronco nella corsa deve essere infatti portato avanti praticamente senza movimenti, con l’asse sagittale in posizione verticale, senza che si abbia “tilting”, ossia, non deve aumentare l’inclinazione in avanti del busto al momento dell’appoggio al terreno, per poi diminuire in fase di spinta.

Ai fini della stabilità il corpo deve essere capace di assorbire i contraccolpi, che nella corsa si fanno decisamente più forti. A livello rachideo dorsale sono il legamento longitudinale anteriore e il legamento longitudinale posteriore che ricoprono tale funzione. Si tratta di fasce fibrose che si addossano rispettivamente alla faccia anteriore e posteriore dei corpi vertebrali, dall’epistrofeo sino alla parte superiore dell’osso sacro, aderendo fortemente ai corpi delle vertebre, e più lassamente ai dischi vertebrali.

Tali legamenti sono riscontrabili in mammiferi specializzati nella corsa, quali cani e cavalli, o in animali con teste di grosse dimensioni, come elefanti, mentre non sono riscontrabili in Pan, e probabilmente neppure in Australopithecus, non essendone rilevabile alcuna traccia nei resti fossili. Le vertebre stesse già da Homo habilis segnano una diminuzione in lunghezza, e un aumento del diametro relativo all’aumento delle dimensioni dell’intero corpo, maggiore di quanto non sia nei suoi antenati, permettendo alla schiena di sopportare un maggior carico e di assorbire meglio gli sforzi.

Le connessioni tra la pelvi e la spina dorsale sono infine più robuste e larghe, provvedendo a offrire maggiore stabilità, e la pelvi nell’uomo, a differenza delle Australopitecine, presenta inoltre rilievi ossei per gli attacchi dei muscoli glutei sulla regione esterna. I glutei nell’uomo sono più ampi, più robusti, sono muscoli critici durante la corsa connettendo il femore al tronco, e in particolar modo è di rilievo il grande gluteo, che nell’uomo è il più possente muscolo estensore dell’anca.

Robinson nel 1972 aveva già dimostrato che una persona colpita da paralisi al grande gluteo poteva camminare senza gravi difficoltà, ma a confermare ulteriormente le osservazioni di Bramble e Lieberman contribuiscono le conclusioni a cui giunse nel 1972 V. Basmajian.

La sua scoperta rivelò che il grande gluteo nella deambulazione su terreno pianeggiante ha una funzione esclusivamente di controllo degli arti inferiori nel momento di massima estensione, frenando lo slancio in avanti e conferendo all’arto stabilità nel momento in cui tocca terra, e non ricopre nel cammino una funzione propulsiva. Una normale camminata richiede quindi ben poco della potenziale energia del grande gluteo, e questo vale anche per la sola stazione eretta, mentre l’immenso potenziale del muscolo entra in gioco quando l’individuo sale un pendio scosceso, si alza da posizione seduta o corre, contribuendo alla stabilità del tronco e offrendo la potenza necessaria a compiere il movimento.

Considerando che un’attività fisica per essere capace di stimolare alterazioni anatomiche deve essere necessariamente un’attività costante, continua e ripetuta più e più volte nel tempo, e prendendo in considerazione l’ambiente stesso della savana, dove i primi uomini si svilupparono, un ambiente prevalentemente pianeggiante, è possibile ipotizzare che una grossa componente di responsabilità nello sviluppo del grande gluteo sia da attribuire proprio alla corsa.

Termoregolazione

L’altezza raggiunta da H. ergaster, la cui media si aggirava attorno ad 1,75 cm, comporta un aumento della superficie corporea e permette quindi attraverso la sudorazione di dissipare meglio il calore in attività che richiedono un estremo sforzo energetico. Allo stesso tempo arti inferiori più lunghi, di cui non disponevano le Australopitecine, permettevano una maggiore agilità e velocità.

Proprio nella corsa la lunghezza degli arti inferiori è importante poiché l’aumento della velocità non si registra tanto con l’aumento della frequenza dei passi, che comporta infatti anche un maggiore dispendio di energie, ma con l’aumento della lunghezza di ogni singola falcata. Inoltre fondamentale è lo sviluppo in H. ergaster di un setto nasale vero e proprio, con narici rivolte verso il basso, che può essere spiegato come risposta alla necessità di trattenere l’umidità corporea durante momenti d’intensa attività fisica.

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